È di questi giorni la vicenda che coinvolge Facebook, Cambridge Analytica, thisisyourdigitallife (l'app responsabile della condivisione dei dati). Non scendiamo troppo nei particolari, potete trovarli ovunque on line in queste ore.
In sintesi un'applicazione, thisisyourdigitallife, ha raccolto in piena regola e col consenso di tutti una serie di dati su coloro che si iscrivevano attraverso l'account Facebook (il mondo digitale è pieno di applicazioni cui possiamo accedere attraverso gli account di Facebook, Google o altri). Circa 270.000 persone si sono loggate all'applicazione fornendo le credenziali Facebook e condividendo quindi i propri dati personali, quelli già concessi a Facebook, con gli sviluppatori dell'applicazione. Fin qui tutto normale. Succede ogni giorno, milioni di volte.
La prima "forzatura" è stata la possibilità da parte degli sviluppatori dell'app di estendere la conoscenza dei dati personali anche alla rete di amici dei 270.000 iscritti. Alla fine gli utenti Facebook coinvolti sono stati circa 50 milioni. C'è da dire che anche questo secondo passaggio, che abbiamo definito "forzatura", era nei patti tra Facebook e l'applicazione, nel senso che era una pratica conosciuta e permessa, almeno fino a un certo punto, fino a quando Facebook non ha modificato alcune condizioni d'uso. Ma la pratica, lo ripetiamo, era del tutto lecita e soprattutto conosciutissima da tanti, di sicuro da tutti gli addetti ai lavori.
Il problema è sorto quando uno sviluppatore dell'app ha concesso a una terza parte, Cambridge Analytica, questi dati. La violazione e l'infrazione stanno tutte qui: nella condivisione di dati con un terzo soggetto. Ecco il vero illecito, la vera violazione dei termini d'uso di Facebook. Cambridge Analytica poi, come saprete, ha utilizzato questa mole imponente di dati per il proprio business: profilare gli utenti (sulla base dei loro gusti) per il micro targeting comportamentale, cioè, una pubblicità mirata, specifica, personalizzata sul singolo utente. Va da sé che la possibilità di "colpire" un utente in modo così chirurgico consente un certo grado di manipolazione comportamentale, sia dal punto di vista delle abitudini di consumo che delle intenzioni di voto. Nello specifico sembra che il ruolo di Cambridge Analytica sia stato decisivo nel condizionare il voto negli Stati Uniti (elezione di Trump) e nel Regno Unito (scelta di uscire dall'Unione Europea, Brexit).
Quanto accaduto non deve sorprendere. Ci teniamo a sottolinearlo, a costo di essere cinici. Ci piace ricordare che la grandissima quantità di dati e tracce che lasciamo on line non spariscono nel nulla. Vi siete mai chiesti a quale prezzo riusciamo sempre più velocemente ad acquistare, pagare, prenotare? Quante sono le pubblicità che evidenziano la facilità di determinate azioni? Vi basta un semplice click per fare ogni cosa. A che prezzo?
Alle applicazioni concediamo pezzi sempre più grandi di privacy, consentendo loro di accedere alla nostra fotocamera o ai servizi di localizzazione. Ogni volta che sbirciate un prodotto su una piattaforma di e-commerce lasciate una traccia importantissima. Ogni volta che fate una ricerca su Google anche. Dalla nascita di internet la "merce" di scambio più importante siamo noi, con le nostre abitudini, i nostri gusti, interessi. È stupido meravigliarsi di quanto accaduto. È successo, succederà ancora, sta già succedendo, in questo momento. Il nostro valore è direttamente proporzionale alla quantità di dati e tracce che ci lasciamo dietro. Coloro che sostengono di non aver nulla da nascondere poi sono i più ingenui. Nessuno giudica le nostre abitudini, anzi. Le nostre abitudini sono preziosissime, vanno coccolate, assecondate, rinforzate, moltiplicate. Per difenderci c'è una sola possibilità. Il problema è che noi e voi non abbiamo accesso a questa possibilità. Per il semplice motivo che noi stiamo scrivendo su queste pagine e voi le state leggendo.
Siamo spacciati. Un prezzo ci doveva essere, lo sapevamo. Ora lo sanno tutti.
Noi ci mettiamo in attesa della prossima scoperta dell'acqua calda.
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